America on the road, appunti sparsi

Claudio Pellecchia
7 min readSep 1, 2022

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Nelle mie intenzioni iniziali questo doveva essere un longform dedicato a tutto ciò che avevo visto, sentito, conosciuto in quasi 15 giorni di viaggio in auto, facendo su e giù - oltre 7.000 km - per la West Coast. Poi con Chiara abbiamo pensato di raccontare tutto in maniera più organica e strutturata - “più organizzata”, direbbe lei - in un nuovo progetto di cui vi parleremo tra qualche tempo e, quindi, mi sono limitato a buttare giù parole in libertà, seguendo randomicamente un flusso di pensieri (del tutto personali) in cui è comunque molto difficile fare ordine. A quello, come detto, ci penseremo poi.

Prima di partire un piccolo consiglio: non fidatevi troppo delle offerte del vostro operatore telefonico. Comprate una scheda americana e risolvete a monte la metà dei problemi che potreste ritrovarvi ad avere, soprattutto in ottica connessione, navigatore e Google Maps. E, a questo proposito: scaricatevi in ogni caso un paio di app di navigazione con mappe offline. Se, poi, non sapete resistere al fascino del vintage, compratevi pure una cartina stradale vera e propria, non solo per l’instagrammabilità del momento in cui potreste ritrovarvi ad aprirla sul cofano della vostra auto in mezzo al nulla del deserto del Mojave.

Detto questo, cominciamo:

  • Il rapporto con le automobili con il cambio automatico assomiglia un po’ a quello con le ragazze nel passaggio dall’infanzia alle turbe ormonali dell’adolescenza: un giorno ti ritrovi a prendere in giro quegli smidollati che rifiutano di utilizzare la frizione, quello dopo ti ritrovi a chiederti come hai vissuto finora senza un aggeggio che fa tutto lui rendendo di fatto inutile il tuo piede sinistro (ma occhio ai primi 10 minuti, soprattutto se vi trovate nel traffico di Los Angeles).
  • Nota a margine e del tutto personale, sempre per ciò che riguarda le auto: se è vero che si tende a comprare macchine grandi per compensare dimensioni ridotte altrove allora gli uomini di queste parti hanno un problema serio.
  • Il traffico, dicevamo. Legge della giungla pura e semplice, darwinismo portato all’estremo e oltre. Come “le navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione” o i raggi B che balenano “nel buio alle porte di Tannauser” non sarete mai pronti alle cose che “voi umani non potreste immaginarvi”: tipo le uscite dell’autostrada a sinistra, chi vi suona nonostante il semaforo sia rosso perché deve girare a destra, chi vi maledice mentre vi apprestate a occupare un incrocio credendo ingenuamente che basti il verde comparso sul semaforo davanti a voi. Non vedrete l’ora di guidare per ore lungo le interminabili Interstatali che tagliano a metà canyon e deserti.
  • Un antico proverbio cinese dice che “anche un viaggio di mille miglia comincia con un singolo passo”. Beh quando si mette piede negli States è il caso di cominciare appena possibile perché, qualsiasi sia la destinazione, non si arriva letteralmente MAI. E non è una questione di miglia o chilometri o di limiti di velocità, ma proprio di percezione delle distanze e del tempo che si impiega per percorrerle. Anche se i paesaggi, in questo senso, aiutano non poco a sentire meno la fatica.
“Per andare dove dobbiamo andare per dove dobbiamo andare?” come lo direbbero a Seligman, in Arizona
  • La Route 66, soprattutto nel tratto da Flagstaff a Oatman, è esattamente tutto ciò che vi aspettate sia un OTR sulla Mother Road.
  • I parchi naturali sono di gran lunga meglio di qualsiasi città e valgono tutte le ore di trail in salita sotto un sole di rame. Vedere - il Grand Canyon e non solo - per credere:
E questo è solo parte di ciò che si può vedere dal South Rim…
  • Per questo se un domani foste costretti a scegliere solo due tra le esperienze da fare nella vita spero che la vostra scelta ricada sul Moenkopi Trail a Red Rock Canyon, luogo dal silenzio irreale ad appena mezz’ora di auto dalle luci, dai suoni e dai colori di Las Vegas, e il Navajo Loop Trail a Bryce Canyon, anche sotto la pioggia (ma attenzione ai flash flood).
  • Horseshoe Band e l’Arizona tutta vanno bene, anzi benissimo, se non si soffre di vertigini. In caso contrario tocca scattare le foto a occhi chiusi.
  • Los Angeles sembra - e forse lo è — un’immensa e dispersiva periferia con tre luoghi (Beverly Hills, Mulholland Drive e Downtown) totalmente scollegati dal resto della realtà circostante. Las Vegas è un grande parco giochi a cielo aperto che però alla lunga può stancare chi giocatore non lo è sul serio ma si vuole togliere giusto lo sfizio di visitare “i casinò di Terry Benedict”. San Francisco, soprattutto in zona Union Square, sembra tanto una New York che non ce l’ha fatta. Per colpa sua.
  • A proposito di parchi divertimenti: solo gli americani potevano piazzarne uno - a tema western - in pieno deserto. Calico Ghost Town è un eccellente piano B in caso di imprevisti, tipo la Death Valley allegata nel giorno in cui avevate programmato di visitarla.
  • I tramonti a Santa Monica e Santa Barbara e il Golden Gate avvolto dalla nebbia alle sette del mattino sono cose che ti porti dentro per sempre:
Se andate non dimenticate felpe e giacche a vento. Anche se è pieno agosto, anzi soprattutto se è pieno agosto
  • Rodeo Drive e la Walk of Fame sono, invece, molto sopravvalutate. Ma bisogna camminarci dentro per capirlo.
  • La commozione che ho provato quando ho visto da vicino il Fabulous Forum di Inglewood o lo Staples Center - sì lo so, ora si chiama Crypto.com Arena, ma non ce la faccio proprio a chiamarlo così - la può comprendere soltanto chi tutto questo lo sognava da quando, a 10 anni, era l’unico bambino della classe che passava il sabato pomeriggio a guardare NBA Action sanguinando gialloviola. Per tutti gli altri consiglio la lettura di un libro di cui vi ho già parlato qui.
Showtime
  • Quella di Kobe Bryant è una presenza fissa nella vita e nella quotidianità degli angeleni. Non si tratta di essere sportivi, appassionati, tifosi dei Lakers o di basket in generale: girando per le strade alla ricerca dei murales che gli street-artist hanno voluto dedicargli, ti accorgi come il figlio di Jellybean abbia davvero ispirato le persone e che Mamba Mentality è stato, è e sempre sarà ben più di un claim di facile impatto. Ebbi modo di sottolinearlo anche in questo articolo su Esquire di ormai quattro anni fa: “Mamba Mentality è diventato amore per ciò che si fa, che sia il lancio dell’ultima signature shoe o la realizzazione di un cortometraggio da Oscar. E dall’amore non può che derivare l’ossessione, la cura maniacale e a tratti misteriosa di ogni singolo aspetto del suo gioco trasposta nei dettagli, solo apparentemente marginali, di una nuova quotidianità da ricostruire senza il basket, ovvero senza ciò che sembrava dare senso a tutto”.
“I feel better than winning a championship. When you start over, you really have to quiet the ego. You have to begin again”
  • “Lids” a Fisherman’s Wharf è il luogo di perdizione perfetto per i collezionisti di maglie e articoli sportivi. Di qualsiasi sport. Da perderci la testa, le ore e lo stipendio di un mese.
  • Gli Warriors sono i campioni NBA in carica, oltre che la squadra simbolo di questo decennio, ma potrebbero e dovrebbero organizzare un pochino meglio lo shop del Chase Center, soprattutto per ciò che riguarda la selezione del personale che ci lavora.
  • C’è motel e Motel. Prima di partire avete pensato che, tutto sommato, vi va bene anche il primo - anche per vivere la vera american experience - ma strada facendo pregherete per trovare il secondo. Almeno ogni tanto;
  • Palm Springs, come Venezia, è bella ma non ci vivrei. Williams, in Arizona, è bruttina - due strade in croce - ma ti fa sentire a casa.
  • Se volete mangiare la migliore torta di mele della vostra vita il posto è solo uno: Bryce Canyon Pines sulla UT-12, a cinque miglia a ovest rispetto all’entrata del parco. Se invece cercate costolette e qualsiasi altra cosa si possa cuocere su un barbecue a forma di locomotiva mentre qualcuno suona musica country indossando un cappello da cowboy, vi tocca andare a Page, in Arizona, e farvi la vostra brava mezz’ora di fila per entrare da Big John’s Texas BBQ.
  • Anche perché mangiare nei fast food non è mai la scelta più economica che si possa fare.
  • Nello Utah, ad agosto, pare piova un giorno su tre. Naturalmente se nello Utah ci si passa solo un giorno, sarà quel giorno.
  • Sempre ad agosto, inoltre, in molte zone ricominciano anche le scuole: i cartelli elettronici “welcome back students” lasciano molto più discombobulated del jet lag che si accusa al rientro in Italia.

Quando, comunque, starete già pensando a come fare per ritornare appena possibile.

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Claudio Pellecchia

Avvocato (delle cause perse) mancato, giornalista e scrittore di e per sport