“The Batman” prima di Batman. E forse anche di Nolan

Claudio Pellecchia
5 min readMar 4, 2022

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Se, come e (di) quanto The Batman di Matt Reeves abbia superato - o prometta di farlo - la trilogia di Cristopher Nolan è un qualcosa che è giusto rimandare alle sensazioni soggettive di chi esce dalla sala, a ciò che tre ore di film lasciano a livello di percezioni e considerazioni in ciascuno di noi, diversamente sensibile, diversamente empatico, diversamente cinico, perché no. Di certo si può dire che se la missione era trovare una nuova chiave narrativa sul “Cavaliere Oscuro” - almeno per ciò che riguarda la produzione cinematografica - Reeves e la Warner Bros hanno fatto centro, ben al di là di quel termine di paragone talmente ingombrante e ridondante da costituire la base di partenza per lo spettatore che aspetta seduto sulla sua poltroncina.

Base di partenza che, per fortuna - qualcuno potrebbe dire anche “purtroppo”, ma son gusti, appunto - viene demolita praticamente fin da subito. The Batman è un esperimento rischioso ma riuscito, un azzardo che ripaga dell’hype e dell’attesa, un noir lugubre e a tratti persino disturbante, con atmosfere a metà tra Sin City e Seven che si adattano, anzi che si innestano perfettamente, su una Gotham City più buia e piovosa che mai e che torna ad essere ciò che in realtà è sempre stata: vale a dire il vero nemico di Batman, ben più dei mostri che ciclicamente sputa fuori dal suo ventre molle di corruzione e violenza.

Questo è il primo e potenzialmente unico punto di contatto con la narrazione nolaniana, l’idea di una città più villain dei villain stessi, novella “Carthago delenda est” in quanto impossibilitata alla redenzione proprio come profetizzato da Ra’s al Ghul. In effetti il richiamo alla dottrina della Setta delle Ombre, a quell’ideale di vera giustizia per cui a un certo punto la distruzione è l’unica soluzione - ma anche al principio del “caos equo” che governava le azioni di Joker in The Dark Knight - si fa talmente forte che a un certo punto viene naturale chiedersi se Batman sia davvero schierato dalla parte giusta, se sia l’eroe giusto al posto giusto e nel momento giusto, se in realtà non costituisca un ostacolo al sovvertimento di uno status quo che in condizioni normali difficilmente riusciremmo ad accettare. Il che non significa prendere le parti di Bane ieri o dell’Enigmista oggi, ma porsi delle domande su tutto ciò che ci è stato insegnato sui concetti di giusto e sbagliato, di bene e male, di vittoria e sconfitta.

Domande che si pone anche un Batman/Bruce Wayne giovane e acerbo e, per questo, ancora facile preda di quei demoni interiori che non riesce ancora a controllare, soprattutto quando viene messo di fronte al crollo di quelle certezze che credeva incrollabili. Una condizione resa perfettamente dalla “pesantezza” visiva e sonora con cui porta una corazza in cui, evidentemente, non si sente ancora a proprio agio - dimenticate Christian Bale e il suo agile svolazzare grazie ai tessuti in kevlar - e dall’emotività che prende il sopravvento nel momento in cui la notte (individuale e collettiva) sembra farsi più buia.

Da questo punto di vista, il merito di Reeves è quello di aver colmato una delle poche lacune della trilogia, cioè l’analisi e l’approfondimento del momento di transizione, quello in cui il giovane Wayne si chiede se basti essere “Vendetta” o se, invece, sia necessario qualcosa d’altro, qualcosa di più, qualcosa di meglio, qualcosa in grado di ispirare le persone. In questo senso Robert Pattinson si è dimostrato il Batman perfetto per ciò che gli veniva richiesto, meno fisico di Christian Bale o Ben Affleck per quello che riguarda la presenza scenica, ma molto più introspettivo, molto più umano, molto più scalfibile nel viaggio di esplorazione tra gli abissi dell’anima.

Il punto è proprio questo: guardando la trilogia, pur nella complessità dello sviluppo delle singole trame che andavano a comporre il quadro d’insieme più ampio, non si aveva mai la sensazione che Batman potesse essere battuto, nemmeno quando viene sprofondato da Bane nella sua prigione ai confini del mondo, trasformando tutto in una sorta di “non è questione di se ma di quando Batman vincerà”, con la bravura degli sceneggiatori misurata su tempi e modalità di approdo al classico finale in cui i buoni vincono, i cattivi perdono e Gotham viene salvata un’altra volta da sé stessa. In The Batman, invece, non c’è nulla di tutto questo: il finale è quanto mai incerto nella sua apparente certezza proprio perché il crociato con il mantello (ci) appare battibile, perché Batman non è ancora abbastanza pronto, non è ancora abbastanza attrezzato, non è ancora abbastanza “Batman” per come siamo abituati a immaginarlo, cioè un uomo dalle risorse illimitate, un eroe che ha già vinto in partenza perché in grado di provocare nei suoi nemici quella paura che lui non può provare, o non può provare più.

Si tratta di un cambio di prospettiva notevole e che giustifica parzialmente anche una delle poche potenziali criticità del film, vale a dire la sua lunghezza, “male necessario” in funzione dell’analisi e della comprensione di tutti i characters in gioco, anche quelli all’apparenza marginali. Parliamo, però, di una lentezza che si avverte solo a tratti e che restituisce perfettamente la difficoltà del percorso di costruzione e auto-determinazione che è alla base di un personaggio così complesso e che spesso è stato messo da parte da una narrazione per lo più incentrata sulla profilazione psicologica del cattivo di turno. Un dettaglio che, in passato, ha assunto anche connotazioni parodistiche, sia nel bene (Tim Burton) che nel male tendente al malissimo (Joel Schumacher).

L’obiezione più ovvia e superficiale potrebbe essere che 176 minuti per un prodotto destinato a giovani e giovanissimi sono troppi. Ma anche questo è un cortocircuito legato a una visione superata dal mondo e dal tempo: The Batman non è, o non è solo, un film per ragazzini - io, ad esempio, un bambino di 10/12 anni non ce lo porterei - o per i cultori di lunga data, ma qualcosa di nuovo, qualcosa che si propone di andare oltre tutto ciò che sapevamo o credevamo di sapere di uno dei supereroi più raccontati, analizzati e, talvolta, stereotipati del mondo.

Cosa, poi, sarete voi a deciderlo.

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Claudio Pellecchia

Avvocato (delle cause perse) mancato, giornalista e scrittore di e per sport